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Le pagelle dell’Australian Open

Wawrinka 9+ – La sua è la vittoria del destino, un anno dopo la sconfitta che lo ha consacrato tra i più forti, alla prima finale slam coglie un successo incredibile e insperato. Gioca un tennis bello ed efficace. Sfata tutti i tabù di una vita tennistica: batte Nadal, si vendica di Djokovic, scavalca Federer in classifica (salirà fino al numero 3). La forza della mente, Stan the Mens.

Wawrinka bacia il trofeo degli Australian Open, suo primo Slam (foto presa da news.yahoo.com)
Wawrinka bacia il trofeo degli Australian Open, suo primo Slam (foto presa da news.yahoo.com)

Nadal 8 – Arriva in finale da super favorito dopo aver spento Federer per l’ennesima volta (23 su 33). Con le stigmate (vesciche mastodontiche) si fanno i miracoli, non con la schiena k.o. In finale fa quello che il dolore gli concede. Il suo corpo d’altronde è il quarto segreto di Fatima. Ci si interrogherà a lungo su cosa sarebbe stata la partita con Wawrinka senza l’infortunio. Sempre più numero uno del mondo. Guerriero sovrannaturale. Continua a leggere Le pagelle dell’Australian Open

US Open 2013: grandi attese… e grandi enigmi…

Non avrà la storia del Centre Court di Wimbledon e nemmeno il fascino del Philippe Chartrier di Parigi. Dopotutto, gli US Open (con anche gli Australian Open) sono lo Slam con, apparentemente, meno fascino. Ma giocare una finale all’Arthur Ashe Stadium è comunque roba per grandi fuoriclasse. Se non altro perché reggere la pressione dei quasi 25.000 spettatori che riempiono quotidianamente, tra fine agosto e inizio settembre, lo stadio di tennis più grande del mondo è un qualcosa da campioni assoluti. Si ha proprio l’impressione di essere al centro del mondo (parere da telespettatore) ogni qualvolta le inquadrature televisive riprendono, da “altezza tennista”, gli spalti.

Non ci si deve sorprendere allora se Flushing Meadows è stato un feudo di Re Roger Federer, trionfatore ininterrotto per 5 edizioni, dal 2004 al 2008, e se negli ultimi 3 anni gli onori sono stati equamente divisi dagli altri 3 Fab Four, con Nadal trionfatore nel 2010 e Djokovic nel 2011, prima del successo di Andy Murray nel 2012, primo alloro dello scozzese.  Allo stesso tempo, però, impossibile non ricordare il trionfo di Juan Martin Del Potro nel 2009. Non tanto perché l’argentino è un tennista di secondo livello (cosa assolutamente falsa. Se Delpo non avesse dovuto continuamente fare i conti con una forma fisica spesso precaria, oggi si parlerebbe forse di un “pokerissimo” di campioni), quanto perché quello rimane l’ultimo successo di un non-Fab Four. Per risalire ad una vittoria non appartenente a Djoko & Co. bisogna risalire all’Australian Open del 2005, secondo ed ultimo alloro Slam di quel geniaccio di Marat Safin. 8 anni e 34 Slam in cui a esultare sono stati sempre e solo i soliti 4 (con l’aggiunta peraltro recente di Murray). Ad eccezione, appunto, dello US Open 2009, quello griffato Del Potro.

Gli Open degli Stati Uniti si giocano in un periodo dell’anno in cui molti han già dato tutto. Se sei un tennista al top, prepari spesso la stagione puntando o sul Roland Garros o su Wimbledon. Difficile che il tuo primo obiettivo sia trionfare a New York. Piuttosto, se sei un “marziano” punti anche agli US Open. Che diventano l’ancora di salvezza, qualora la tua stagione non ottenga i risultati sperati. A questo si aggiunge, giocoforza, la riserva d’energia che rimane a disposizione dei partecipanti, dato che, ormai, la stagione si apre i primi giorni di gennaio e lascia poco tempo per tirare il fiato. Ne vien fuori un melting pot che garantisce divertimento, spettacolo e, rispetto ai precedenti Slam, quel pizzico di imprevedibilità in più che lascia sempre sperare in un risultato a sorpresa, come il Del Potro del 2009.

Andy Murray (26) con il trofeo degli US Open
Andy Murray (26) con il trofeo degli US Open

A rendere ancora più accattivante l’edizione che va a iniziare lunedì 26, ci si mette anche, per qualcuno, un fattore che da quest’anno inizia a farsi sentire in maniera incisiva: il fattore carta d’identità. Purtroppo quel qualcuno è proprio Re Roger Federer che, non più tardi di 20 giorni fa, ha tagliato il traguardo delle 32 primavere. Sia chiaro, nessuno sta dicendo che per King Roger sia ora di smettere. A 35 anni suonati, Tommy Haas sta vivendo una specie di seconda giovinezza. Se ci riesce Haas, può riuscirci anche lo svizzero. Certo, non è più il Federer non diciamo nemmeno del 2006/07, ma anche del 2012, quello che conquistò 10 finali, di cui 6 vinte, tra cui il favoloso settimo alloro di Wimbledon, condito da giocate da Dio del tennis (e se avete la memoria corta guardate qua). Purtroppo va dato atto alla realtà dei fatti: Roger quest’anno si è dovuto arrendere, nel corso dei tornei, a gente come Brands e Delbonis. Per non parlare della debacle londinese ad opera di Stakhovsky. Non deve, quindi, sorprendere se Federer arriva all’ultimo Slam dell’anno come testa di serie numero 7. Deve far riflettere, però, il fatto che era dallo US Open 2002 che Federer non arrivava ad uno slam così indietro in classifica (Allora era 13°). Segnali del tempo che va…

Chiaramente l’assoluto favorito per il successo finale è Nadal. Lo spagnolo sta vivendo forse la sua migliore stagione, condita dal “solito” Roland Garros e da ben cinque Masters 1000. Tolto Wimbledon (sconfitta clamorosa al 1° turno contro Darcis), Rafa quest’anno è sempre arrivato in finale, ovunque abbia giocato. Ne ha perse due (tra cui, una con l’onesto Zaballos a Viña del Mar, torneo che segnava il suo ritorno in campo dopo mesi di inattività) e ne ha vinte otto. Ma quello che sorprende è la solidità del Nadal che ha vinto sul cemento a Montreal e Cincinnati. Per vedere tennis da raccontare ai nipotini sempre meglio rivolgersi altrove. Ma pochi professionisti hanno la concentrazione e la voglia di vincere di Rafa che per questo andrebbe fatto osservare alle giovani generazioni che sognano un giorno di diventare grandi, in un qualsiasi campo professionale.

Sarà interessante vedere come invece Djokovic e Murray affronteranno la contesa. Entrambi sono in cerca di riscatto. Il numero 1 del mondo non viene da una stagione entusiasmante. Ha dominato la prima parte della stagione, aggiudicandosi per la quarta volta gli Australian Open e superando Nadal a Monte Carlo, uno dei feudi del maiorchino. Ma si è fermato a quel successo, fallendo l’obiettivo di Parigi, unico Slam che gli manca. Murray invece ha centrato l’obiettivo di una vita, riportando il trofeo di Wimbledon in terra d’Albione 77 anni dopo Fred Perry. Poi però non si è più visto, sparendo nell’anonimato di un terzo turno a Montreal e di un quarto di finale a Cincinnati (anonimato per un campione come lui, si intende).

Le speranze italiane di ben figurare sono affidate all’ormai solito Seppi (solito incompiuto…) e al ritrovato Fognini, campionissimo per 20 giorni e poi ripiombato nei suoi alti e bassi (soprattutto di testa) che ne ostacolano il cristallino talento. Il calendario è stato abbastanza benevolo con i nostri 2 alfieri, che potrebbero arrivare comodamente al quarto turno, finendo poi contro Djokovic e Murray (ma chiedere di più, è abbastanza improbabile). In verità, sul cammino di Seppi ci sarebbe anche Almagro, ma mai come in questo momento superare lo spagnolo non sembra proprio missione impossibile. Analizzando il tabellone in generale, invece, la parte “alta” (quella con, appunto, gli italiani) ci sembra, però, maggiormente piena di insidie per chi punta alla Coppa. Vietato pronosticare? No, dai, proviamoci. In semifinale arrivano Del Potro-Murray e Raonic-Nadal. Il che significa che non saranno assolutamente queste. 🙂