“Diego, chi vorresti incontrare in finale, le Garmania o l’Inghilterra?”. “L’Inghilterra. Perché abbiamo una tradizione migliore con gli inglesi”. Eppure con la Germania 4 anni prima era andata abbastanza bene, diremmo noi, dato il successo all’Azteca che aveva eretto l’Argentina campione e lui al livello di un semi Dio. Eppure Diego doveva sentire che la Germania in finale non portava nulla di buono…
I tedeschi non sono una semplice squadra, sono dei panzer. Dei carri armati. A leggere i loro nomi viene timore: Matthaus, Augenthaler, Buchwald, Klinsmann. Al di là del reale valore, esprimono potenza, grandezza, forza. Diego invece sa che la sua Argentina scricchiola. Tiene duro, ma va avanti a fatica dall’inizio della competizione. Il paragone tra le due è come quella tra due ciclisti fortissimi, ma uno al massimo della condizione con una squadra preparata che lo difende sulle prime rampe della salita e poi lo mette nella migliore condizione per partire e fare il vuoto, e l’altro che rimane senza compagni dopo il primo di una serie interminabile di strappi al 10% di pendenza media. Eppure tiene il passo, non molla, nonostante, km dopo km, tornante dopo tornante, senta le forze venirgli meno, mentre lo sguardo dell’altro, quello al massimo della condizione, non denota alcun cenno della fatica che sta facendo. O che comunque non sente, concentrato e proteso verso l’obiettivo. Continua a leggere Il pallone racconta. Finale 1990, Germania – Argentina 1-0